Non c’è che una stagione: l’estate. Tanto bella che le altre le girano attorno. L’autunno la ricorda, l’inverno la invoca, la primavera la invidia e tenta puerilmente di guastarla. (Ennio Flaiano)
Amo l’inizio di ogni cosa, lo sguardo prima della carezza. le parole prima di un abbraccio. Il sussulto prima di un bacio, la tenerezza prima della passione. Amo il gesto omesso che poi esplode, l’entusiasmo prima dell’abitudine, l’idea prima del progetto, il sogno prima della realtà. Amo la notte prima dell’alba, la fatica prima del riposo, il sole prima del vento e la goccia prima del diluvio. Amo la prima parola di una lettera, il primo ti amo, le prime note di una melodia. Amo i primi giorni d’estate e gli ultimi d’inverno. “L’inizio” (Michela Salzino)
Vi lascio all’ascolto di questa dolcissima canzone …
Sospesi, sospiro affannato. Passi lenti e pesanti, moviola di una frenesia tradita. Pensieri profondi, diluiti in un tempo prorogato. Così distanti, ma mai come adesso, così vicini, stessa sorte, incerta, confusa. Nemico invisibile, ombra implacabile che col tocco assimila. Intanati, arrestiamo la nostra folle corsa, abbagliati, da luccichii sparsi, sotto lo stesso cielo. Bagnati, dallo stesso mare, solo… un po’ più del solito… chiaro e limpido. E le farfalle inconsapevoli, volteggiano sinuose posandosi sui fili d’erba. Illuminati dallo stesso sole cocente. La terra guarisce e ancora per noi l’aria fresca da inspirare, Il vento, da accarezzare, tramonti da ammirare E caldi abbracci da ritrovare.
La poesia “Sospesi” è stata letta da Caterina Aletti, della casa editrice Aletti nell’ambito dell’iniziativa “La panchina dei versi”.
Qui sotto il video in questione
la poesia è stata pubblicata all’interno dell’antologia “Covid-19 quel che resta del tempo transitivo” a cura del “Il circolo delle arti” casa Editrice Gutenberg.
Nota di una giornata di mezza estate… Righe impresse in memoria. Piccole antenne che calano in celate tane. Cicale… e l’esibizione in coro del loro stridulo canto. Lieve e fresco lino, sole cocente su onde infrante. E poi calici colmi di armoniose melodie.
Come preannunciato, in questo periodo, sono stata impegnata nella realizzazione di un progetto che si è appena concluso, la canzone “Vivo per te”ha preso vita, nuova vita, dopo essere stata riposta, per molti anni in fondo a un cassetto.
Oltre al testo, scritto da mio padre, Domenico Aspresso e la musica, composta da S. Siino, ora è stata aggiunta anche la linea voce.
Nel video qui sotto vedrete scorrere alcune immagini dei miei genitori, le foto risalgono agli anni 60, lo stesso periodo in cui è stata composta la canzone.
Naturalmente non sono una cantante, ma è stato emozionante e divertente cantarla ed è stato possibile grazie all’aiuto del mio amico musicista, Gianfranco Gioia, a cui devo tutta la mia riconoscenza e gratitudine per il lavoro svolto e per la pazienza che ha dimostrato nel sostenermi e incoraggiarmi.
Per ulteriori approfondimenti riguardo alla partitura e arrangiamento è possibile visualizzare la seguente pagina
Non si arriva ad una meta se non per ripartire e là dove siamo ora non è che una tappa del nostro cammino, con la certezza che ogni sera è la promessa di un’aurora. Conta i fiori del tuo giardino mai le foglie che cadono conta le ore della tua giornata, dimentica le nuvole, conta le stelle delle tue notti non le tue ombre conta i sorrisi della tua vita non le lacrime e ad ogni compleanno conta con gioia la tua età dal numero degli amici non da quello degli anni. Che piccola cosa è una vita, la mia, la tua, come tutte, è una goccia e che si perda in un mare d’amore è l’unica via, altrimenti è una goccia sprecata troppo piccola per essere felice da sola troppo grande per accontentarsi del nulla.
Oggi, nel giorno del mio compleanno, facevo alcune riflessioni: pensavo che a volte sembra incredibile, ma alcuni sogni si avverano…
Prima di parlarvi del mio sogno però occorre che vi faccia una piccola premessa per farvi capire meglio.
I legami familiari sono sicuramente quelli che ci identificano di più e che ci forniscono dei modelli a cui spesso ci ritroviamo a fare riferimento. Essi ci forgiano in qualche modo e finiscono con l’influenzarci, per il resto della nostra vita, anche inconsapevolmente.
Non è il caso che vi annoi con la teoria dell’attaccamento di J. Bowlby, uno dei pilastri della psicologia dello sviluppo del ventesimo secolo, il quale sosteneva che “l’attaccamento è parte integrante delcomportamento umano dalla culla alla tomba” (Bolwby, 1982).
Nella sua teoria dell’attaccamento, Bowlby intuì come questo rivesta un ruolo centrale nell’individuo, influenzandone lo sviluppo della personalità. Egli ha illustrato i vari stili di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ansioso/ambivalente e disorientato/disorganizzato.
L’autore sottolinea, molto brevemente, l’importanza dei modelli operativi interni che si sviluppano in seguito alle primordiali relazioni di cura e di attaccamento che si instaurano con il caregiver.
Se un bimbo è abituato a respirare amore, un clima sereno in cui si sente sicuro e amato, un clima di rispetto reciproco sarà poi portato ad agire da adulto, rifacendosi alle sue memorie, ai ricordi delle esperienze ed emozioni vissute.
Viceversa, in presenza di situazioni traumatiche di abbandono, trascuratezza o, ancor peggio, di abuso, non svilupperà la giusta sicurezza in se stesso e mancherà, come minimo, la fiducia nell’altro. L’affidarsi diventerà molto difficile se non impossibile e vi sarà il rischio di riprodurre gli stessi modelli, stavolta negativi, disadattivi, disfunzionali.
La costruzione di ogni legame, di ogni rapporto che ci troviamo a intraprendere sarà di certo influenzata dalle nostre prime esperienze di vita, tra queste sono fondamentali quelle familiari, ma anche quelle con i compagni di scuola, gli amici e tutte queste non agiranno come un marchio, ma daranno, per così dire, una prima impronta e sarà poi il contesto in cui ci si trova ad agire ad essere determinante con tutte le varianti del caso.
Quindi soffermiamoci un attimo ai legami familiari, al valore che ognuno di noi gli riserva. Tali legami sono sicuramente significativi. Ogni famiglia assume i propri valori e li trasmette ai figli seguendo le proprie regole e i propri stili educativi.
La mia famiglia mi ha trasmesso tanto amore, mi ha insegnato il rispetto per gli altri, l’onestà, mi ha insegnato che con l’impegno e la perseveranza si possono raggiungere molti traguardi, pur restando umili e riuscendo ad apprezzare la bellezza dei piccoli gesti e delle gioie che la vita ci riserva.
Purtroppo la vita non ci riserva però solo gioie e alla mia famiglia son toccate anche tante sofferenze, ma questa è la vita!
Il corso degli eventi, per me è mutato con la morte di mio padre, il quale a causa di una malattia ci ha lasciati prematuramente. Il suo corpo ci ha lasciati, anche se lui ha continuato a vivere accanto a noi, accompagnandoci e guidandoci, ma soprattutto lui vive in noi, sicuramente, noi figli abbiamo ereditato parte del suo patrimonio genetico, ma ci ha lasciato in eredità molto di più.
Chi conosceva mio padre conserva dei ricordi piacevoli di lui, molti lo descrivono come una persona allegra, socievole, sempre disponibile ad aiutare gli altri, un uomo umile e onesto.
Avendolo conosciuto poco (avevo solo 13 anni quando ci lasciò) ho sempre conservato una certa curiosità su di lui. Ho sempre cercato di raccogliere molte notizie che lo riguardavano: una sete di conoscenza che mi portava a frugare tra i cassetti di mia madre, dove lei custodiva gelosamente le poesie e le lettere che scriveva per lei.
Ricordo che passavo ore o ore a leggerle e sembrava di vederlo, me lo raffiguravo davanti il mio papà, giovane e innamorato: un “grande romanticone!” lui. Lo è sempre stato, portava sempre i fiori a mamma. Sembravano due eterni fidanzatini.
Un giorno, durante le mie perlustrazioni, scoprii insieme alle poesie uno spartito e un testo di una canzone.
Ah che scoperta!
Rimasi incantata, chiesi subito maggiori informazioni a mia madre. Io potevo essere poco più che ragazzina. Avrò avuto 15/16 anni, non ricordo esattamente, ma quella fu una scoperta che restò per me sorprendente: mio padre, insieme ad un suo amico, aveva scritto una canzone. Mio padre il testo e il suo amico la musica. L’aveva dedicata al suo amore, l’unico suo grande amore.
Peccato però perché il progetto non fu mai portato a termine.
Quando ti ritrovi a perdere il padre da piccola ti senti come se ti avessero strappato a vivo una parte di te, oltre al dolore per la perdita, la mancanza in sé, fisica, simbolica, di un pilastro fondante e fondamentale della tua famiglia ti viene sottratto un pezzo di vita, della tua vita, che non potrai più condividere con il caro congiunto prematuramente scomparso.
L’elaborazione del lutto è un processo lungo e tortuoso, si va avanti a tentativi, nulla appare più semplice e trasparente davanti a sé, come se da lì in poi tutto fosse filtrato da una sorta di lente opacizzante ed è come se ci si ritrovasse ad un tratto in una selva oscura, intrappolati in un dolore che incatena e pietrifica ed allora arriva la rabbia furiosa e più ci si agita per liberarsene, più ci si ferisce, così si prova a respingerlo, a respingere ogni emozione, si diventa come anestetizzati, ma non serve provare a scappare, esso ti seguirà ovunque come un’ombra e ci troverà, l’unico modo per sopravvivere è trovargli uno spazio, un luogo in cui abitare e dargli ascolto.
All’inizio arriveranno urla strazianti, a poco a poco l’intensità si affievolirà e il dolore reclamerà di essere ascoltato, ma in una forma nuova, più pacata, si finirà con il farselo amico, ci si imparerà a conoscersi un po’, poi sempre meglio, si diventerà all’inizio amici, amici inseparabili, poi sarà il momento di distanziarsi un po’, finché non si imparerà a lasciarlo a volte un po’ da solo in un angolino recondito, ma quando si sentirà trascurato tornerà a farsi sentire ancora intensamente, non ci si dimentica mai di lui, si impara a conoscerlo bene e a volergli persino bene.
Sì, perché ci si abitua a convivere con l’abitudine alla mancanza che sarà una nuova compagna di viaggio, come presenza costante di una amara assenza e allora che ci si chiede se vi sia scampo.
Non c’è più possibilità di ritrovare serenità e felicità?
La risposta è sì: si torna ad essere felici. Io sono tornata ad esserlo, anzi, per esperienza personale vi assicuro che le persone che per svariate ragioni, nella loro vita hanno sofferto tanto, imparano ad apprezzare di più il valore e l’importanza di ogni piccola gioia che gli riserva la vita.
La memoria, i ricordi di certi affetti così intensi, anche se bruscamente interrotti, non muoiono mai del tutto, anzi continuano a vivere, in maniera diversa in una nuova forma.
Io conservo ancora in maniera vivida molti ricordi di mio padre, li porto con me sempre, mi accompagnano, a volte ritrovo in me certi suoi aspetti e questo mi riscalda il cuore.
Tornando al mio sogno, ho sempre nutrito il desiderio di poter ascoltare un giorno le note di quello spartito, trovato lì per caso, conservato con cura per tantissimi anni.
Ebbene, qualche settimana fa, quasi per caso, ne parlai a un mio caro amico, musicista e compositore, Gianfranco Gioia (https://www.gianfrancogioia.it) il quale non esitò ad accogliere la mia richiesta. Nel giro di pochi giorni si mise subito a lavoro e vi preannuncio che a breve la canzone, dopo quasi 60 anni dalla sua composizione, prenderà vita, nuova vita.
Questo per me è stato un gradito e prezioso dono, perché è come mantenere in vita un’opera che ci ha tramandato mio padre. Le opere sopravvivono a noi. C’è una frase che mi viene in mente di Josè Samarago che prendo in prestito: “Penso che ognuno di noi sia, soprattutto, figlio delle proprie opere, di quel che va facendo mentre sta quaggiù”.
Quindi è come, per me, far rivivere mio padre, quella sua parte creativa, passionale che lo caratterizzava e lo rendeva davvero speciale.
Condivido con piacere con voi, per il momento, lo spartito e il testo della canzone e spero a breve di potervela anche fare ascoltare!
Ecco a voi:
“Vivo per te” di Domenico Aspresso e di Salvatore Siino
La natura è generosa, si mostra a noi in tutta la sua bellezza.
Riuscire con estrema cura e delicatezza a cogliere nei piccoli dettagli le sue meraviglie ci fa sentire parte di essa.
Da sempre l’uomo dinanzi alla natura si è soffermato a contemplarne la bellezza oppure temendo la sua sovrastante maestosità si è posto in soggezione arrivando a considerarla a volte matrigna.
Pensiamo per esempio a G. Leopardi che nella sua concezione del pessimismo cosmico assume una visione materialistica della natura e il poeta la disprezza e la definisce, appunto, matrigna, insensibile alle sofferenze umane.
Ma io amo pensare più ad una natura generosa e materna che ci avvolge e che si offre a noi con amore e benevolenza.
Vorrei risaltare, dunque, il senso di benessere che suscita in me immergermi nella natura, rifugiandomici tutte le volte che posso.
Il mio sguardo ne cattura la magnificenza, ma per coglierne a fondo la vera bellezza ed entrare in piena sintonia con essa penso che occorra attivare tutti i sensi e aprirsi ai suoi suoni, agli odori, ai colori e proprio addentrandosi e ponendosi in ascolto, riusciamo a pensarci e sentirci parte di essa e coglierne il valore di ogni suo stupefacente aspetto.
E allora ci soffermeremo ad apprezzare il cinguettio degli uccelli, il fruscio delle foglie spostate e sollevate dal vento, il suono delle onde che si infrangono, il profumo dei fiori, l’erba sottile bagnata, l’acqua fresca del mare e impareremo ad averne cura e a rispettarla sempre e non a volerla assoggettare alle nostre esigenze.
Ed è come, se così facendo, la natura ci spingesse ad andare oltre i nostri limiti umani, entrando in una dimensione che ci oltrepassa, ci contiene, ci avvolge, facendoci sentire parte di essa.
Mi immagino tanti fili interconnessi che ci legano, che ci fanno viaggiare lungo la stessa sensibilità e si incontrano nella meravigliosa varietà umana.
Ho trovato per caso un testo tratto da Parole dalla Quiete di Eckhart Tolle, maestro spirituale occidentale contemporaneo, l’autore sembra condensare nella sua opera un misto di religioni, ma la cosa che mi ha colpito di più di questo brano e che vuole dare un insegnamento, ricordando l’importanza del vivere il “qui e ora” e del sentirsi in unione con tutto ciò che ci circonda, egli sottolinea come la natura ci porta ad uno stato di quiete, di profonda calma interiore e attraverso uno stato di meditazione ci porta a vivere meglio con noi stessi e con gli altri.
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